[vc_row][vc_column width=”5/6″][vc_column_text]
A FEEDER SULL’ELSA
Le giornate piovigginose mi piacciono tanto, ma soprattutto mi mettono addosso tanta voglia di pescare : non fa troppo freddo, non c’é vento e non piove; inoltre questi giorni non sono particolarmente ambiti dai colleghi pescatori, per cui spesso si tratta dei momenti migliori per godersi un po’ di intimità col fiume e coi suoi abitanti. Dopo aver montato le attrezzature ed aver effettuato i primi lanci, rimanendo concentrati sul vettino, non è difficile immergersi in un profondo silenzio, tentando di mimetizzarsi con la natura e cercando di udire l’inafferrabile suono della pioviggine che si posa sugli indumenti. Queste ore di completo relax sono in grado di rigenerarmi completamente dopo una settimana intensa o dopo un impegnativo weekend agonistico. Ed è proprio in queste sessioni, quando l’obiettivo è il godersi la natura e magari darsi alla sperimentazione di qualche soluzione da trasferire poi nelle competizioni ovvero quando il massimizzare le catture non è l’obiettivo principale, che si riescono a vedere le mangiate migliori.
Ho avuto il piacere di trascorrere una giornata così in Toscana sul fiume Elsa, nel campo gara nazionale di Granaiolo. In questo bellissimo tratto sono presenti moltissimi carassi e cavedani, oltre ad alborelle, barbi nostrani e carpe fino ad oltre 10 kg di peso. Nulla invece la presenza di siluri, gatti e pesci alloctoni. Ma in inverno, tutte le specie di pesci presenti sembrano immerse in un sonno profondo, una letargia che non coglie però il re del fiume: il cavedano. Questi ciprinidi continuano ad alimentarsi ininterrottamente anche nelle giornate più fredde, dove possiamo specializzare la nostra azione di pesca proprio verso la cattura di questi meravigliosi pesci, sicuri di non rinunciare a niente: adesso sono loro i padroni della scena. Ed anche per il pescatore di feeder, misurarsi sportivamente con questi furbissimi ciprinidi costituisce una delle sfide più difficili ed affascinanti : l’attrezzatura deve essere perfettamente bilanciata e costituita da attrezzi rapidi per arrivare sulla mangiata prima che il pesce ci ripensi e sputi via tutto. La montatura invece dovrà essere leggera (a tal fine ho sviluppato un particolare tipo di paternoster che ho deciso di chiamare Lenza Superleggera e che vi presenterò in seguito): il minimo indispensabile per stare in pesca, la stessa regola vale per il feeder, per il terminale e per l’amo. E fin qua tutto facile: montare uno 0,08 con un amo del 22 riesce a tutti, ma se vogliamo insidiare cavedani che viaggiano tra i 500 gr. ad oltre un kg a 2 metri dalle cannette in sponda opposta (conservando qualche probabilità di portarli a guadino) meglio evitare finezze estreme: un cavedano di Granaiolo che sfiora il chilo un siffatto terminale se lo fuma in 5 secondi! Inoltre, come ho già detto, andiamo a porre la nostra esca ad una distanza di circa 2 metri dalla sponda opposta, in una zona dove il pesce si sente sicuro perché è sufficientemente vicino a tane e rifugi; ovvio che in caso di abboccata dovremo riuscire a contenere la sfuriata iniziale tipica di questi stupendi animali senza andare a perdere pesce e lenza negli incagli. Opto quindi per un approccio più leggero possibile ma senza esagerare, non voglio perdere strappando il finale quei pochi pesci che riuscirò a ferrare con successo, per cui niente miniaturizzazioni inutili per vedere una mangiata in più: terminale 0,14 millimetri e lungo 60 cm, amo n.18, innesco una coppia di bigattini, cage feeder da un oncia con della pastura a base di pane piuttosto scarica, di colore chiaro e senza alcuna aggiunta di esche. Al primo lancio mi accorgo subito che qualcosa non va : c’è una corrente superficiale molto intensa, condizione molto strana per Granaiolo che è un campo di gara posto immediatamente a monte di una pescaia; la corrente è troppo forte per pescare a canna bassa con un vettino da 1 oz. per cui, prima di sostituirlo con uno da 1,5 oz. posiziono la canna a circa 40° rispetto al terreno, e riesco immediatamente a stare correttamente in pesca (anche se più tardi sarò costretto ad aumentare ancora l’angolatura). L’assenza di vento mi consente di pescare con la maggior parte del filo fuori dall’acqua (e quindi non sottoposto all’azione della corrente), la lenza lavora ben tesa ed il set up con la vetta da 1 oz. mantiene pure un ottima sensibilità.
Conoscendo bene i tempi che richiedono questi ciprinidi per entrare in pastura, effettuo un po’ di lanci, mi metto in pesca e faccio una telefonata ma nemmeno il tempo di dire tre parole che il vettino mi comunica una starata lenta: troppo veloce per essere dello sporco che ha urtato nel filo, ma troppo lenta per essere una vera mangiata. Non ci sono dubbi, qualche pesce si sta accomodando a tavola. Concludo immediatamente la telefonata e, prima che quel qualcosa che ha urtato nel filo decida di cambiare ristorante, rinnovo l’offerta con un bel lancio nello stesso punto. Stavolta passano solo pochi secondi e..starata, affondata e ferrata!! Ho il pesce in canna e dalla velocità con cui parte riconosco immediatamente la specie a cui appartiene: CHUB! A questo punto inizio il combattimento rinunciando totalmente al classico recupero orizzontale tipico del feeder fishing, scelgo invece di combattere a canna alta, cercando di portare il pesce verso la superficie: voglio far percorrere al pesce la via più breve e priva di “tentazioni”, così spero di portarlo alla svelta nei pressi della superficie, in modo che la preda durante la fuga tenti di guadagnare profondità; se optassi invece per il recupero a canna bassa laterale concederei al pesce una certa libertà di movimento vicino al fondale pieno di incagli. Recuperando a canna alta invece, quando il pesce si appresta a ripartire si trova spesso molto distante dal fondale, e nel momento in cui riesce finalmente a giungere sugli incagli possiede meno energie e possiamo fargli invertire il senso di marcia con facilità. Ovviamente bisogna mettere in conto il fatto che avvicinando il pesce alla superficie (dunque portandolo verso la luce) lo terrorizziamo e gli consentiamo di sprigionare le fughe più energiche dando fondo ad ogni sua riserva, ma in queste situazioni il problema non è la potenza della ripartenza: se riesco a fargliela cominciare due dita sotto la superficie posso concedergli un metro e mezzo di filo senza rischi, se lo stessi recuperando sul fondo dopo mezzo metro ci saluterebbe. La mia tattica funziona, il pesce capisce che non riesce né a guadagnare il fondale ne qualche rifugio in cui rintanarsi, per cui molla la presa e mi viene incontro a razzo, fortunatamente sono equipaggiato con un mulinello a bobina ampia e molto veloce quindi riesco a mantenere sempre il contatto con la preda, riuscendo a capire anche in che direzione stia fuggendo senza concedere pericolosi allentamenti di tensione del filo, che porterebbero facilmente ad una slamata. I cavedani di questo fiume sprigionano una forza incredibile e invece di arrendersi portandosi a galla boccheggianti, nei pressi del sottosponda ingaggiano di nuovo battaglia, tentando di infilarsi in qualche pertugio nei pressi della mia nassa, ma oggi sto pescando con la mia nuova 12′ della Browning, che si piega con armonia ma senza alcuna cedevolezza, non concedendogli nè l’angolo migliore per slamarsi nè troppo spazio per fuggire. Nonostante questo il chub non si arrende: anche quando riesco a guadinarlo rimane in posizione orizzontale, senza boccheggiare e senza darsi per vinto. Lo slamo con il rispetto che sportivamente merita un avversario di questa caratura e lo immetto delicatamente in nassa. Sono emozionatissimo, mi tremano le mani per l’adrenalina, ma intorno a me c’è il silenzio e la vita lungo il fiume continua senza che nessuno si accorga della battaglia che si è appena conclusa. Ad un paio di metri da dove ho ferrato il cavedano una grossa nutria entra in acqua senza nemmeno avermi notato. Ne sono felice. Intanto mentre carico il cage e mi appresto a lanciare mi accorgo che sto pescando da più di mezz’ora e non è passato nessuno, nè a correre, nè a pescare, nè a portare il cane a passeggio. Siamo soli. Io e il fiume. Sono sicuro che nemmeno i cavedani si sono accorti troppo della mia presenza e sono certo di riuscire a vedere altre mangiate. Infatti riesco a catturarne altri quattro tutti di buona taglia che mi fanno dannare non poco nel recupero, uno è abbondantemente sopra al chilo, più un altro che riesce a slamarsi dopo pochi secondi di combattimento. Poi basta, le mangiate cessano e come una signora che si accorge di essersi concessa anche troppo, i cavedani dell’Elsa escono di scena come offesi e difficilmente torneranno a farsi vivi nello stesso posto, dunque smonto l’attrezzatura, foto di rito coi chub, rilascio e telefonata all’amico Marco: carpista, feederista e grande conoscitore di Granaiolo : “ Marco vengo via ora da Granaiolo, 5 cavedani tutti belli !” e Marco mi risponde :” Bravo , vedi che è come dico io: l’Elsa si concede solo a chi ha il desiderio di stare con lei nelle giornate in cui gli altri pescatori non mettono nemmeno il naso fuori di casa. Il fiume appartiene a chi ha il coraggio di sfidarlo…..”.
[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/6″][vc_gallery type=”image_grid” images=”20693,20692″][/vc_column][/vc_row]