Da diversi mesi ormai, è sempre più aperto il dibattito sulla futura gestione dei corpi idrici italiani e sulle relative regolamentazioni della gestione delle specie autoctone e sul controllo e la gestione delle specie alloctone.
Cosa vuol dire specie autoctona?
Il termine autoctono (dal greco autòs stesso, e chthòn suolo/terra) indica l’appartenenza di qualcosa o qualcuno ad un luogo. Se vogliamo entrare nello specifico biologico, una specie autoctona di una data regione è una specie che si è originata ed evoluta nel territorio in cui si trova.
Seguendo questa definizione le specie autoctone italiane, per quanto riguarda i pesci d’acqua dolce, sono da considerarsi circa cinquanta/sessanta.
Qual è la situazione di queste specie?
Fin dai tempi più remoti, la presenza umana sulla penisola ha portato a sfruttamenti e cambiamenti di quasi tutti i bacini idrici e fluviali. Ma, sono il XIX e il XX secolo che vedono l’impatto antropico incidere notevolmente ed in modo sempre più negativo sullo sfruttamento e la modifica dei fiumi e dei laghi nel nostro territorio.
In questi periodi la trasformazione e l’evoluzione industriale incontrollata, ha portato una profonda alterazione sia nella chimica dei sistemi idrici ( sversamento d’ inquinanti ), sia della fisica dei corsi stessi ( costruzione di dighe, sbarramenti ecc. ).
La situazione attuale delle nostre specie ittica è decisamente allarmante: circa il 52% delle specie autoctone sono inserite tra il livello “vulnerabile” ed “estinta nella regione”.
Il documento redatto dal comitato IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ), non lascia molti dubbi.
Le cause di questo degrado biologico sono molteplici, ma le maggiori si possono ricondurre a pochi aspetti fondamentali:
- Estesa urbanizzazione
- Modifiche antropiche dei corsi fluviali
- Depauperamento idrico
- Inquinamento
In aggiunta a queste si hanno delle concause, che sono in ogni caso riconducibili all’intervento umano, quali ad esempio l’introduzione di specie alloctone.
Quali sono le specie più a rischio?
In questo primo articolo faremo una prima carrellata delle prime specie, per poi proseguire nelle prossime settimane ad ampliare il discorso.
Andiamo a vedere quali sono le specie a rischio nel nostro paese:
Acipenser sturio: (Acipenser sturio Linnaeus, 1758)
Noto anche come storione comune, è uno dei più grandi pesci d’acqua dolce e salmastra d’Europa. In Italia fino agli anni ’20 si poteva trovare con un ampia distribuzione: nel bacino del Po, in Adriatico, nei fiumi Adige, Brenta, Piave, Tagliamento e Tevere. Ma si aveva anche la presenza, anche se sporadica o di passaggio nei Mari Ligure, Tirreno e Ionio, e nei fiumi Arno, Liri, Volturno e Garigliano.
La sua scomparsa, come per gran parte delle specie anadrome ( pesce che risale le correnti per la riproduzione ), è da ricercarsi quasi totalmente per il forte impatto ambientale umano dato dalla costruzione di dighe, sbarramenti e deviazione dei corsi d’acqua.
Negli ultimi anni, grazie ai primi interventi sugli sbarramenti artificiali con la costruzione di scale di monta, si è potuto riscontrare un flebile ritorno di questa specie nel grande fiume.
Per ora rimane estinto nella regione
Huso Huso: (Huso huso (Linnaeus, 1758)),
o storione ladano, noto anche come storione beluga. Sul nostro territorio nazionale a livello naturale si può dire che è estinto da almeno 30 anni. Attualmente è allevato in impianti ittiogenici nell’Italia Settentrionale.
Negli ultimi decenni sono stati catturati solo singoli esemplari erratici probabilmente provenienti da porzioni dell’areale esterne ai confini nazionali.
Estinto nella regione
Scardinius scardafa: (Bonaparte, 1837),
Scardola Tirrenica. Estinta nel suo areale d’origine, presente solo nel Lago di Scanno. In Umbria Scardinius sp. è una delle specie che meno ha risentito delle varie cause di degrado ambientale: il suo areale è costante e attualmente rappresenta una delle specie più abbondanti sia nel lago Trasimeno, che a Piediluco, che nella Palude di Colfiorito e cioè nei tre ambienti lentici naturali dell’Umbria (dati non pubblicati).
In pericolo critico
Salmo carpio: (Linnaeus, 1758),
Conosciuto come carpione del Garda. E’ una specie endemica (esclusive di un dato territorio) propria del lago di Garda. Specie gregaria, vagante, di profondità. Vive principalmente nel basso e medio lago dove frequenta gli strati più profondi (100 – 200 m) della colonna d’acqua, spostandosi in acque di profondità inferiore solo per necessità riproduttive. Staziona molto raramente in superficie o resta nascosto in anfratti del substrato.
In pericolo
Barbus caninus: (Bonaparte, 1839),
Conosciuto come barbo canino. Vive nelle zone di media montagna al di sopra degli 800-1000 m s.l.m. E’ un Barbo di media taglia (< 250 mm) che necessita di acque mediamente rapide e trasparenti ad una temperatura che va dai 14 ai 18 °C. La deposizione delle uova avviene tra maggio e giugno. Questa specie è sia poliandrica ( particolare forma di polimorfismo per cui in una specie sono presenti due o più tipi di maschi) che poliginica ( strategia riproduttiva in cui un maschio si accoppia con più femmine ). Endemismo nel distretto Padano-Veneto, la sua distribuzione originaria presenta alcune incertezze.
In pericolo
Chondrostoma soetta: ( Bonaparte, 1840 ),
Conosciuta come savetta. Subendemismo padano del Nord Italia. La specie ha un areale ristretto, dall’Italia settentrionale e alla Svizzera meridionale. Nel Lazio segnalata la sua presenza in un paio di fiumi del frusinate, oltre ad essere presente in alcuni laghi dell’Appennino tosco-emiliano.
In Pericolo