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ALLA SCOPERTA DEL PELLET WAGGLER
ll ruolo che le fisheries, o “carpodromi” (detto all’italiana), si stanno ritagliando nel panorama alieutico nazionale sta crescendo di anno in anno: vuoi per la pigrizia dei pescatori, sempre confortata in questi bacini da catture sicure, vuoi per la sempre maggiore presenza nei nostri negozi di articoli specializzati, derivanti da quella vera e propria “scienza del laghetto” di cui sono maestri gli inglesi ed ecco che la pesca nei carpodromi ha assunto oggi un ruolo predominante. Il periodo estivo è antifona all’utilizzo di una tecnica nuova in Italia, il “pellet waggler”, conosciuto per nome, ma non forse per dinamiche di funzionamento e corretta tecnica di utilizzo: fare chiarezza circa le nuove tendenze che arrivano direttamente dall’Inghilterra sarà l’obiettivo di questo articolo. Il pellet waggler moderno è costituito da uno spezzone di balsa piuttosto “tozzo”, con un’antenna alettata ben visibile e spesso intercambiabile per fronteggiare ogni condizione di luce e con un “dischetto” di plastica posizionato alla base. Il galleggiante, già tarato e naturale evoluzione dei classici waggler piombati, è costruito esclusivamente con lo scopo di creare al suo ingresso in acqua e nel suo movimento quando si richiama la lenza, il maggior rumore possibile, il cosiddetto “effetto splash”. Questo rumore richiama le carpe, che nel periodo caldo stazionano negli strati superficiali, a cibarsi, poiché riproduce esattamente il rumore del pellet o delle granaglie lanciate in superficie dai pescatori o dal personale addetto. Tutta la tecnica, che ha valenza esclusivamente nei carpodromi, si basa quindi su due punti: creazione di rumore (noise) e innesco della competizione alimentare.
Il set up per questa pesca è semplice:
– Una canna di lunghezza 11 piedi specifica per la tecnica.
– Un mulinello taglia 3000 caricato con monofilo “galleggiante” dello 0,23.
La costruzione della lenza che utilizzo è semplicissima: eseguo una brillatura di circa 15 cm sulla lenza madre e racchiudo una “feeder bead” con moschettone tra due nodi distanti circa 7 cm, eseguiti sulla brillatura, che vado a coprire con due stopper in silicone. All’asola che si viene a creare all’estremità della montatura collego il finale, uno spezzone dello 0.17/0.19 ( in base alla taglia del pesce) corredato da un amo specifico per questa tecnica del nro 16/18, montato con la bait band.
Per pasturare con la fionda nell’area prescelta apro sempre circa un kg di pellet da 8 mm: scelgo le farine in base al carpodromo, per esempio in laghi dove è consistente la presenza di esemplari di taglia utilizzo meaty pellet o halibut pellet, anche se spesso ho utilizzato pellet aromatizzate al granturco (molto valide). Non dobbiamo preoccuparci che il pesce si sazi perché la farina delle pellet è troppo carica, infatti nel periodo estivo le carpe sono in piena attività alimentare, ed il loro numero quando si intrattengono in pastura non può essere certamente saziato dal lancio di poche pellet per volta, peraltro in quantitativi totali di scarsa rilevanza. Un piccolo trucco molto redditizio è quello di bagnare le pellet con una spruzzata di liquido all’halibut, che essendo molto oleoso tende a creare un alone galleggiante sulla superficie, costruendo un pascolo idoneo ai nostri scopi.
Come inneschi da montare sulla bait band utilizzo per la maggior parte della sessione le stesse pellet di pasturazione: porto sempre con me anche una scatolina di pellet diversificate, sia per colorazione che per dimensione, da utilizzare come esche di cambio quando le mangiate tendono a calare (un po’ lo stesso principio della pesca a method); un colorazione di innesco micidiale, non solo per la pesca a pellet waggler, è il rosso.
Frequentando carpodromi di dimensioni medio/grandi utilizzo quasi sempre pellet waggler da 8 grammi, utili per lanciare ad una distanza di almeno 20/30 m: personalmente amo utilizzare modelli ad asta abbastanza lunga, che mi consentono di avere una stabilità migliore in fase di lancio e di pesca, soprattutto in presenza di vento, che crea tra l’altro una leggera corrente superficiale. In laghi più piccoli si può scendere anche a 4/6 grammi, utilizzando galleggianti con corpo trasparente, molto più sottili, o modelli più raccolti che tendono ad essere ancora più tozzi. La scelta del tipo di galleggiante dipende molto dalle condizioni atmosferiche e dalla distanza a cui si intende pescare, che comunque in genere non è mai troppo bassa (raramente si scende sotto i 20 metri). L’azione di pesca deve essere costante e ripetitiva, molto macchinosa: occorre fare sempre gli stessi movimenti e azioni, e calcolare sempre i tempi di permanenza della lenza in pesca. Una volta individuata la distanza di pesca, magari osservando dalla cresta della sponda ove vi è attività di pesci a galla, si aggiungono circa 4 o 5 giri di mulinello a questa distanza, e si blocca il filo sulla clip del mulinello: il galleggiante quindi cadrà leggermente più avanti del punto prescelto.
Una volta effettuato il lancio si fionda immediatamente un certo quantitativo di pellet prima del galleggiante (più corte all’incirca della distanza che abbiamo appunto aggiunto prima), si recuperano i 4 o 5 giri di manovella, e si fionda di nuovo, questa volta esattamente sul galleggiante. Dopo circa 30 secondi, se non abbiamo una partenza, recuperiamo e ripetiamo nuovamente il procedimento, e così per tutta la sessione. Cosi facendo creiamo una doppia zona di pesca, dopo il primo splash, richiamando di qualche giro il galleggiante, creiamo nuovamente rumore e possiamo pasturare nuovamente: è una tecnica micidiale, che permette di trasformare una zona unica in una doppia zona di pesca, perturbata e pasturata in continuazione. Molto spesso le partenze si hanno sul primo splash, senza avere nemmeno il tempo di effettuare la prima fiondata. Allo start si pastura con almeno 10/12 pellet ogni fiondata, per far entrare i pesci in pastura, mentre quando si innesca la competizione alimentare si deve scendere a 4 /5 pellet per volta: la decisione di scegliere le 8 mm non è infatti a caso, perché permette di lanciare all’avvio molte più pellet rispetto all’utilizzo di esche più grandi, fatto di non trascurabile importanza. Per quanto riguarda la lunghezza del finale, e quindi della profondità di pesca, utilizzo per le fasi iniziali finali da 90 cm, per poi scendere a 45 cm una volta che il pesce entra in competizione alimentare.
Questi accorgimenti che ho appena descritto, che derivano dai continui studi degli angler anglosassoni, nella loro semplicità sono, nel periodo estivo, veramente devastanti; non esiste nulla di più catturante di questa tecnica quando le temperature salgono: a farne le spese, molto spesso, saranno non solo le carpe, ma anche gli amur, che con questa tecnica possono essere catturati, ove presenti, senza il minimo sforzo.
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